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Lorella Carimali, l’insegnante che sa fare amare la matematica: «Io la insegno così e funziona»

FONTE: CORRIERE.IT
ARTICOLO DI Orsola Riva

Una mattina al Liceo Scientifico milanese Vittorio Veneto, nelle classi della Prof: “In cattedra? I ragazzi. Il mio è il ruolo dell’allenatore che porta tutti al traguardo.

Milano, liceo scientifico Vittorio Veneto, classe quinta I, quarta ora del giovedì: matematica. Sì, proprio lei, la materia meno amata dagli studenti (e soprattutto dalle studentesse) italiani. Quella che quattro ragazzi su dieci, arrivati alla fine del percorso di studi, ancora non capiscono, visto che nei test Invalsi non raggiungono la sufficienza. Seduta in prima fila c’è una ragazza bruna che ascolta, concentrata, la lezione del prof di matematica su funzioni e derivate prime e seconde. A un certo punto lo interrompe e gli dice: «Aspetta, spiega meglio questo punto: è importante per la Maturità. Voi lo avete capito?». E si gira verso il resto della classe. Che succede? Succede che la ragazza si chiama Lorella Carimali, ha 57 anni, e due anni fa è stata finalista del Global Teacher Prize, il premio da un milione di dollari per il miglior prof del mondo. Mentre il prof in cattedra, Lorenzo Gentile, di anni ne ha 18, e non è un prof ma uno studente molto talentuoso e per nulla presuntuoso: «Sono figlio di due ingegneri che mi hanno molto supportato nello studio della matematica», si schermisce. In realtà Lorenzo si è portato avanti con il programma di quinta da solo, su Youtube, e adesso è lì alla lavagna che fa lezione. E i compagni che dicono? «Per me la matematica è molto difficile», dice Lueda Vogli, «ma almeno Lorenzo usa un linguaggio più vicino al nostro. E posso fargli tutte le domande che voglio».

La prof che capovolge le regole

Non lasciatevi ingannare, però: il ruolo della prof Carimali, anche se defilato, è fondamentale. È lei che interviene in continuazione a chiarire i concetti e soprattutto ad assicurarsi che tutti abbiano capito. «Qui arrivano ragazzi con background molto differenti. Non puoi entrare in classe e spiegare e basta», dice lei, «il mio ruolo semmai è quello dell’allenatore che deve prepararli per la maratona. Non importa se arrivano primi o ultimi, l’importante è portarli tutti al traguardo». Un obiettivo in linea con l’indirizzo di fondo di una scuola «che vuole coltivare le eccellenze ma anche essere inclusiva», spiega la preside Patrizia Cocchi. E che ci riesce molto bene visto che il 76% dei ragazzi si piazza nelle due fasce più alte dell’Invalsi. Senza test d’ingresso né selezione in base al voto di uscita dalle medie, come invece accade in altri scientifici milanesi.

Non è un affare da maschi

Non lasciare nessuno indietro in matematica è un obiettivo tutt’altro che facile da raggiungere. Intanto bisogna sgombrare il campo dai pregiudizi, come quello che la matematica sia un affare per pochi, preferibilmente maschi. «La matematica è per tutti e tutte», dice Carimali, «ma spesso i ragazzi e soprattutto le ragazze arrivano al liceo trascinandosi dietro complessi che risalgono alle elementari. Non è vero che per andar bene devi avere il “pallino della matematica”, basta allenarsi. A pensare si impara pensando». Carimali cita le teorie di Carol Dweck, la psicologa americana che con i suoi studi ha dimostrato quanto sia importante valorizzare gli errori come parte del processo di apprendimento. «Viviamo in una società ossessionata dalla performance», continua, «ma prendere 4 o 5 in un compito non vuol dire che non sei portato per la matematica. Magari ti ci può volere più tempo, ma un bravo prof deve trasmetterti il messaggio che ce la puoi fare».

Valutare i propri compagni

Suona la campanella, Carimali saluta gli studenti di quinta e entra in quarta I. Oggi restituisce l’ultima verifica di matematica, ma l’atmosfera stranamente è tutt’altro che tesa. I ragazzi pescano i compiti da un mucchietto e poi si dividono in gruppetti, iniziando a confabulare fra loro. Ognuno deve valutare il compito di un compagno. «Io me li sono già guardati a casa ma non ho ancora messo il voto, sennò guarderebbero solo quello.», spiega la prof, «Certo, a volte dei miei colleghi passano e dicono: ma che casino che c’è in classe della Carimali. Ma se c’è casino è perché nessuno dorme e tutti stanno lavorando». Effettivamente lo spettacolo, per quanto insolito, almeno non trasmette una sensazione di noia o di inerzia. Tutti vanno e vengono da un banco all’altro e a volte si accalorano discutendo fra loro.

L’alunna in felpa entusiasta

Sorriso contagioso, felpa con la scritta Nasa, una passione per l’astrofisica – due anni fa con l’aiuto della prof Carimali e di quella di italiano ha messo in piedi uno spettacolo sulla teoria della relatività che raccontava la storia di due gemelli separati alla nascita: uno sulla Terra l’altro nello spazio – Elisa Carlini sta correggendo il compito di un compagno. «La cosa bella di questo metodo», spiega, «è che per capire dove uno sbaglia non basta controllare i calcoli, devi riuscire a risalire al ragionamento che c’è dietro». In questo modo tutti imparano qualcosa: chi ha sbagliato capisce dove ha sbagliato e perché, mentre gli altri diventano più consapevoli dei procedimenti che hanno usato. «I risultati dell’Invalsi ci costringono a interrogarci sul nostro metodo di insegnamento», dice Carimali, «Quei 4 ragazzi su dieci che non raggiungono i livelli minimi di competenza in matematica sono destinati da adulti a diventare degli analfabeti funzionali. Se oggi non sono in grado di risolvere problemi di media difficoltà, come potranno domani decifrare un conto bancario o una polizza assicurativa?». Per questo invece di insistere sulle formule facendogli ripetere gli stessi esercizi cento volte finché non sbagliano più, bisogna metterli di fronte a sfide sempre diverse in modo che diventino capaci di affrontare qualsiasi situazione. «Il primo passo», dice ancora la prof, «è creare un clima sereno in classe, senza l’ossessione del voto. Solo così il tempo e l’errore possono trasformarsi da nemici a risorse».

Da insegnante a regista

E se questo vuol dire che la prof deve fare un passo di lato, accontentandosi della regia delle lezioni, ben venga il passo di lato: «Non ho l’ambizione di fare delle lezioni stratosferiche. L’importante per me non è quello che insegno io, ma quello che imparano loro. Se riesco a insegnare ai ragazzi a credere in sé e ad avere un metodo, allora ho fatto il mio». O come dice ancora meglio Pamir Martini, lo scienziato pazzo dello spettacolo sulla relatività: «Un bravo prof non deve trasmetterti delle nozioni ma insegnarti a imparare». Chiaro?

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