Articolo di Carla Franceschini.
Nel 2015 le Nazioni Unite hanno approvato l’”agenda 2030”. Hanno così dichiarato gli obiettivi da raggiungere entro il 2030 con lo scopo di ottenere un futuro migliore per tutti riducendo povertà, fame, diseguaglianze affrontando i cambiamenti climatici e migliorando le condizioni lavorative.
Se ci focalizziamo, in particolare, sui punti 4 (Istruzione di qualità) e 5 (parità di genere) possiamo fare alcune considerazioni che possono aprire un dibattito importante e fondamentale per il rilancio anche del nostro Paese.
Ai nostri giorni, le parole che più ricorrono sono DIGITALIZZAZIONE e INNOVAZIONE che sono la base dell’INDUSTRIA 4.0. Si tratta, all’interno dell’automazione industriale, di integrare tecnologie produttive per migliorare condizioni di lavoro e aumentare la produttività degli impianti. Non bisogna però lasciarsi ingannare dai termini “industria / impianti” in quanto è tutta la società che sta cambiando e che deve cambiare. La terribile esperienza legata al COVID che abbiamo vissuto ma che ancora oggi stiamo vivendo ha messo in risalto il concetto evidenziando le lacune esistenti.
Oggi le professioni che richiedono competenze digitali sono circa il 50% ma nei prossimi anni arriveranno all’80% e sono tutte basate su competenze STEM (Scienza Tecnologia, ingegneria e matematica) anche se oggi non conosciamo ancora quali saranno le professioni richieste nei prossimi anni.
Il problema è che circa il 70% dei posti legati alle discipline STEM riguarderanno l’informatica ma solo l’8% dei laureati soddisferanno le richieste del mondo del lavoro.
Un altro problema da non sottovalutare è il cosiddetto GENDER GAP. Le professioni STEM normalmente sono appannaggio del genere maschile, 70-80%, percentuale che si riscontra già a partire dalle facoltà universitarie.
Tuttavia,spesso nell’opinione pubblica emerge, rispetto a queste facoltà, un luogo comune decisamente radicato, che questi tipi di corsi siano più adatti ai ragazzi che non alle ragazze. Le studentesse italiane stanno invece dimostrando come questo concetto sia assolutamente sbagliato e c’è anche un’altra notizia confortante: l’Italia è, tra le nazioni Europee, la migliore se si guarda al rapporto degli iscritti alle facoltà STEM tra uomini e donne.
Le statistiche dicono che in Italia circa il 37% degli iscritti alle facoltà STEM sono donne contro una media europea del 32% e sono anche più brave se si analizzano sia i voti di laurea sia i tempi di completamento degli studi.
Da questi dati emerge il fatto che è fondamentale sensibilizzare i giovani alla scelta delle facoltà STEM le cui competenze nel prossimo futuro saranno, in ottica di occupabilità, sempre più ricercate dal mondo del lavoro ma soprattutto sarà necessario riuscire a superare e far superare gli stereotipi di genere per far sì che le ragazze prendano sempre più in considerazione queste facoltà e inoltre il mondo del lavoro deve diventare meno discriminante nei loro confronti. Perché se è vero che le ragazze hanno competenze e risultano migliori dei loro colleghi uomini è pur vero che a parità di inserimento dopo qualche anno la loro retribuzione è inferiore ai colleghi uomini.
Le migliori performance accademiche delle donne sembrano non essere premiate né al livello occupazionale né salariale: gli uomini guadagnano circa il 25% in più delle donne.
Ma se a livello scuola questa differenza non viene percepita dagli studenti, perché in ambienti di lavoro si verifica il paradosso: sei più brava ma ti pago di meno?
Christine Lagarde ha detto “Le donne costituiscono il 40% della forza lavoro globale ma rimangono un potenziale inespresso” e non credo solo per una questione economica…
Mi pare importante concludere con una frase di Roald Hoffman (Nobel per la chimica nel 1981) che dovrebbe inorgoglire ogni donna e far riflettere ogni uomo: “Amo troppo la scienza per privarla dell’intelligenza delle donne.”