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La scuola ha un futuro?

Articolo a cura di Raimondo Giunta

Ripensare la scuola

Ragionare di scuola nei giorni in cui viene sacrificata e costretta alla didattica a distanza per coprire le pubbliche inadempienze soprattutto in materia di trasporti pubblici, dopo mesi estenuanti e difficili in cui gli istituti scolastici hanno lavorato per garantire in sicurezza la ripresa delle attività didattiche del nuovo anno scolastico, può sembrare un mero esercizio retorico; forse una provocazione in un clima di esasperata delusione. Credo invece che serva per alzare lo sguardo “in modo da contrastare il rischio di ritirarci impauriti e talvolta rabbiosi nel nostro particulare” (Chiara Saraceno). Se vogliamo pensare al futuro con ragionevole speranza, sempre con la scuola dobbiamo fare i conti, perché necessariamente ci proietta su quello che potrebbe essere il nostro domani, avendo il compito di prendersi cura delle nuove generazioni.

Ma la scuola così come l’abbiamo vissuta e così come ancora funziona ha un suo futuro? Questo è il problema e non è per nulla ozioso che in modo particolare chi riveste un ruolo in un sistema di istruzione si chieda come dovrebbe/potrebbe essere la scuola fra qualche anno. Pensarci significa impegnarsi per impedire, ognuno per la propria parte, che la scuola si lasci trascinare dagli eventi, anche se non è dato di potere definire con nettezza i confini di quel che sarà la nostra società tra un decennio, ma sapendo, già, che sono cambiati gli orientamenti e le scelte di moltitudini di persone relativi ai processi di istruzione e formazione. La scuola che verrà dovrà fare i conti sia con le mutate esigenze di molte famiglie e della società, sia col fatto che fuori della scuola esistono tanti modi di istruirsi e tanti modi di far valere quello che si è imparato fuori dai circuiti istituzionali.

Grandi sono sempre in questo campo le responsabilità delle autorità preposte alla guida e alla direzione di una società; responsabilità che per forza di cose si iscrivono nella logica politica e culturale di chi deve prendere delle decisioni, portarle avanti e darle un senso, proponendo di conseguenza valori e criteri prioritari con cui governare l’eventuale processo di rinnovamento del sistema di istruzione e formazione. Responsabilità che non dovrebbero privarsi del contributo di pedagogisti, di sociologi, di uomini di scienza e di cultura, di uomini di scuola e del mondo del lavoro. Su questo tema, sotto gli auspici della Revue Internationale d’Education de Sévres, si è svolto il convegno Réformer l’éducation, di cui sono stati pubblicati gli atti, anche on-line (n. 83/2020). Vale la pena di leggerli. Negli interventi degli studiosi provenienti da diverse parti del mondo vengono affrontati quei problemi sui quali dovrebbe esercitarsi la riflessione per potere elaborare proposte di rinnovamento del sistema di istruzione e formazione, che tengano conto dei fattori di trasformazione della società e del ruolo che la scuola vi deve avere. Un convegno che non si è dovuto misurare con le ferite arrecate alle scuole in ogni parte del mondo dalla pandemia del COVID 19, che ha reso più acuti gli interrogativi sul destino della scuola, sull’identità e sul significato che debba avere. La stessa necessità di ricorrere alla didattica a distanza per mantenere nei limiti del possibile il rapporto educativo con gli alunni si è subito trasformata in una opportunità per proporre di ristrutturare le procedure abituali dell’insegnamento, di riconfigurare con uno sguardo proiettato nel futuro gli ambienti di apprendimento e l’articolazione del rapporto tra alunni e luoghi di formazione.

La scuola e i molti luoghi dell’apprendimento

Da tempo non c’è pace nel mondo dell’istruzione; un mondo attraversato da fortissime tensioni che possono lacerarne il tessuto e che se non sono adeguatamente governate possono sfociare in soluzioni che rischiano di farne perdere la complessità e la ricchezza culturale. E la complessità va governata, non mutilata a colpi di accetta. Sono le tensioni fra tradizione, saperi consolidati e attualità e saperi emergenti; tra scuola formale e molteplicità dei luoghi e delle occasioni di apprendimento; tra ripiego comunitario e apertura alla diversità; tra funzione educativa e adattamento funzionale ai cambiamenti della società; tra zone favorite e quelle sfavorite; tra servizio pubblico e scuola a domanda individuale. Fa da sfondo a queste polarità lo sviluppo impetuoso della multimedialità e dell’informatica, che segneranno qualsiasi soluzione potrà essere data nel futuro al sistema di istruzione e formazione, perché costituiscono di fatto lo spazio degli ambienti di apprendimento.

Alla scuola non è dato di pensare di restare ferma, ma nemmeno di infilarsi in modifiche che invece di rinnovarla, la possono snaturare. Non ha bisogno di scelte casuali, ma di quelle sensate, siano a breve o a lungo termine. E queste sono possibili se ci si curerà del quadro generale dell’istruzione e della formazione; se ci si curerà del come, del cosa, ma soprattutto del perché si debba fare scuola. La scuola è un’istituzione in cui si opera bene soltanto lavorando secondo finalità. Se riforme/innovazioni devono esserci, per misurarle e per valutarle bisognerà vedere fin dove e come riescano a salvaguardare il carattere dell’istruzione/formazione come bene comune, disponibile per tutti, come fondamento di coesione sociale; bisognerà constatare se e come siano riuscite a dare una risposta alle richieste più significative che dalla società nel suo insieme vengono formulate.

Un problema che acquista un rilievo crescente nei sistemi di istruzione è quello che emerge nel rapporto tra scuola formale e la molteplicità dei luoghi e delle occasioni di apprendimento, fenomeno questo che può trasformare il mondo della scuola e alterarne la natura.

Ci sono bisogni di apprendimento sempre più estesi e in vario modo sostenuti, che non sempre hanno risposte dentro i sistemi scolastici; per un verso cresce la corsa a rifornirsi in luoghi altri dalla scuola e per un altro si cerca di condizionare ogni singolo istituto con la richiesta di modifica dei curricoli e di integrazioni formative a immagine e a convenienza di quel gruppo di persone che sono in grado di sostenerla e di farla valere. Un fenomeno che potrebbe sfuggire di mano e che in alcuni settori della società potrebbe fare crescere l’aspettativa di un superamento di un sistema che non riesce o che non vuole accompagnare questa corsa all’impossessamento privato di quel bene pubblico che è la conoscenza.

In questo potenziale conflitto è in gioco il destino della funzione conoscitiva della scuola. Nel momento in cui in qualsiasi luogo si può apprendere, che cosa si deve e si può apprendere a scuola? Non è una novità che la scuola e quindi l’insegnante non siano più nella società attuale gli unici dispensatori di conoscenze. Che non siano più gli unici, non vuol dire che non lo possano più essere. Questo comporta che con chiarezza debba essere circoscritta, indicata e valorizzata l’area specifica che in questo campo attiene alla scuola e che solo a scuola può essere coltivata. Il sistema scolastico è legittimato ad esistere, perché ancora è tenuto a svolgere il compito di trasmettere da una generazione ad un’altra il patrimonio di saperi, di conoscenze, di tecniche e di valori del passato e solo per questo ha un senso che in ogni scuola si incontrino studenti e docenti. La scuola non può smettere di essere luogo di trasmissione razionale e ordinata del sapere, luogo di formazione di conoscenze solide e strutturate. A scuola si costruiscono, si formano le basi concettuali di alcuni saperi che si ritengono necessari e con le quali in seguito si può progredire in autonomia in quello che si sceglie di coltivare. I saperi sono beni immateriali che costituiscono l’infrastruttura della nostra civiltà; sono fini da rispettare e mezzi per crescere e per apprendere altri saperi. Ma si apprendono con procedure rigorose e controllate. Questo risultato non può essere ottenuto attraverso i media o con internet, nei quali è prevalente la componente emotiva e con i quali è possibile informarsi, ma non istruirsi seriamente.

La funzione conoscitiva

La funzione conoscitiva della scuola, oggi, va esaltata e rinforzata; non c’è senso critico, di cui si ha grande bisogno, se non si possiede una rete concettuale ampia, solida e strutturata. Non è l’ultima conoscenza, l’ultima novità che qualifica il lavoro a scuola, ma la capacità di saperne cogliere il senso e il valore.

La scuola moderna affonda le proprie radici nella cultura illuministica; ne sono derivati come finalità del proprio operare, il desiderio di conoscere, il sapere critico e documentato, la ricerca metodica, l’amore per le scienze, la lotta contro le superstizioni e le credenze popolari. Tenendovi fede, a scuola si può far compiere negli alunni il passaggio dal senso comune all’interpretazione razionale di sé e del mondo che li circonda, li si può rendere capaci di controllare la consistenza e la veridicità di molte informazioni che circolano nel mondo, li si può formare ad utilizzare bene internet e le risorse dell’informatica. Altrimenti come dice B. Vertecchi gli alunni saranno fortemente attratti da dispositivi che riducono la loro operatività; che limitano le acquisizioni di capacità di scrittura, di lettura ad alta voce, di calcolo, di osservazione dei fenomeni, di soluzione dei problemi, di acquisizione di un lessico appropriato per formulare e comunicare concetti.

La scuola per sostenere la funzione conoscitiva non può parlare di qualsiasi cosa. È tenuta ad adottare criteri ragionevoli e condivisi dalla società per proporre i saperi e le conoscenze che siano conformi alle sue competenze. È necessario passare dal paradigma dell’allargamento dell’enciclopedia dei saperi, come fin qui si è fatto, a quello della loro selezione, perché la scuola non si disperda nella moltiplicazione degli intrecci col mondo esterno. L’autonomia del sistema scolastico si esprime nella capacità di avere propri criteri di riferimento per stabilire la gerarchia dei saperi che deve trasmettere e delle competenze che deve formare; nella capacità di dettare codici di comportamento, di organizzare modi di apprendimento, di difendere il proprio linguaggio e le proprie regole di comunicazione. Questi criteri di riferimento sono l’anima culturale di un sistema scolastico. Autonomia, non autoreferenzialità: nessun sistema scolastico potrebbe sopravvivere chiudendosi ai grandi temi culturali della propria epoca, ai problemi della società in cui è collocato. Quello che si vuole dire è che la scuola non è solo apertura; è anche per certi aspetti “diversità” e “separatezza”. “La storia della scuola è la storia di una separazione: separazione dei bambini rispetto agli adulti; separazione della preparazione alla vita relativamente alla vita stessa; messa in disparte degli apprendimenti rispetto all’attività produttiva” (B. Rey). Il paradosso della scuola è quello di essere un’istituzione separata nella quale si dispensano conoscenze slegate dalla vita quotidiana ed avere la vocazione di preparare alla vita sociale. La scuola non è il luogo delle situazioni reali. “La scuola è un luogo dove si svolge un particolare tipo di lavoro intellettuale che consiste nel ritirarsi dal mondo quotidiano, al fine di considerarlo e valutarlo, un lavoro che resta coinvolto con quel mondo, in quanto oggetto di riflessione e di ragionamento” (L. Resnick). La scuola non può e non deve limitarsi ad assicurare una semplice continuità con la società che l’attornia o con l’esperienza quotidiana. “Essa è quella particolare comunità in cui si fa l’esperienza di scoprire le ‘cose’ usando l’intelligenza e ci si introduce in nuovi e inimmaginati campi d’esperienza” (J. Bruner).

In pagine di aspra ed efficace polemica contro certe tendenze pedagogiche e di politica scolastica, G. Ferroni nella Scuola sospesa affermava che non è sensato rendere il sistema scolastico subalterno ai modelli della comunicazione di massa e al consumo tecnologico, perché i quadri concettuali delle discipline e i metodi che sono loro propri non cambiano per l’uso delle tecnologie. Affermava, anche, che bisogna evitare ogni forma di illusione, di accecamento tecnologico. Questo non significa che non si debbano considerare e comprendere le implicazioni della tecnologia dell’informazione nella trasmissione del sapere, che non ci si debba fare arricchire dalla tecnologia, di usarla come mezzo. Nell’organizzazione e nella trasmissione delle conoscenze, delle tecniche e del patrimonio culturale del passato i saperi scolastici per le loro caratteristiche (analiticità, sequenzialità, astrazione, logicità, primato della scrittura) superano di gran lunga altre forme di diffusione e di comunicazione delle conoscenze. Per risultati di questo genere gli alunni devono imparare a porre proposizioni limpide, a compiere processi di astrazione, a fare ordinate classificazioni, a svolgere argomentazioni rigorose, a immaginare modelli, ad enunciare generalizzazioni, a procedere ad applicazioni ai casi particolari.

Riproporre e sostenere con forza la funzione conoscitiva della scuola significa fare la parte più grande della riscrittura della missione della scuola nel XXI secolo. La scuola deve ricentrarsi sul compito cruciale dell’istruzione, così come si è tentato di parlarne; deve per equità garantire l’uguaglianza di tutti davanti all’accesso al sapere; deve educare a riconoscere la pertinenza delle informazioni e il valore dei saperi; deve educare ad amare sapere e conoscenza e convincere che l’apprendimento non è mestiere che vale solo per la scuola, ma per tutta la vita di ognuno di noi. Nella situazione odierna la posizione di una persona nella società e nella cultura di appartenenza non dipende da un processo casuale di apprendimento; ma da una specifica e programmata attività di formazione che solo a scuola può svolgersi. Scuola della conoscenza ed equità sono la stessa cosa. Bisogna scommettere su una scuola che afferma alto e forte la sua missione cognitiva.

Il “ritorno” dell’Educazione civica nella scuola italiana : un’opportunità partita male.Ma….

Articolo di Pierfrancesco Fodde.

Fin dalla fondazione della nuova Italia risorgimentale, l’idea di Camillo Benso conte di Cavour della necessità di “fare gli Italiani” ha delegato alla scuola la formazione del buon cittadino, facendo dei maestri elementari nell’Italia di fine ottocento quasi dei “sacerdoti laici” di una “religione civica”, in un doppio ruolo, di educazione culturalee”civica”. Era ed è ancor oggi una impostazione condivisa, tanto che in molti paesi europei il ministero si chiama dell’Educazione” e/o “della Formazione”, e non solo dell’Istruzione, come in Italia. Nell’Italia del secondo dopoguerra, segnata da scelte istituzionali fondamentali (La Repubblica, l’Assemblea Costituente, la Costituzione), la questione relativa alla formazione alla cittadinanza è statooggetto di ampio dibattito, drogato però da un vizio di forma all’origine, perché la necessità di introdurre a scuola una forma autonoma di “educazione civica” ha sempre trovato la via di leggi insufficienti, che hanno seguito l’unica vera “linea guida” (parole oggi di grande e spesso inappropriato uso, vista la pochezza di certe “linee guida”)che accomuna la lunga litania di riforme che hanno scandito la storia del nostro paese in termini di scuola “senza nuovi o ulteriori oneri per la finanza pubblica”.

Insomma, come diceva un vecchio adagio, le tante “riforme” della scuola sono state molto spesso come le famose “nozze con i fichi secchi”.

Questione che ha riguardato l’atteggiamento complessivo della classe politica verso il sistema scolastico e universitario italiano, ma che, nello specifico dell’educazione civica si è espresso con particolare “coerenza” : di questa fantomatica “materia-non materia” sono state previste linee guida, abilitazioni, progetti. Tutto, tranne l’unica cosa che sarebbe servitaa dare concretezza di appartenenza a un curricolo scolastico: un docente in cattedra e almeno un’ora di insegnamento a settimana.

Tutto inizia con il DPR 585/1958 (GovernoMoro), quando per la prima volta si stabilisce che «i programmi d’insegnamento della storia, in vigore negli istituti e scuole d’istruzione secondaria ed artistica, sono integrati da quelli di educazione civica». Eccol’idea, tutt’ora dominante, che l’educazione civica sia compito di tutta la scuola(Idea, peraltro, non del tutto peregrina), ma competenza specifica dell’insegnante di Lettere(Idea fuorviante); proprio per questo, viene inserita tra le conoscenze necessarie per prendere l’abilitazione in quella classe di concorso. Per quanto riguarda la collocazione oraria, si dice solo che l’insegnante di storia dovrà dedicare alla materia «due ore mensili», senza alludere a una separata valutazione. È in questa forma che l’educazione civica sopravvive addirittura fino al 2008, quando la ministra Gelmini –nell’ambito di una presunta attenzione riformista che guardava, nelle dichiarazioni, a un fantomatico “buon tempo antico” (ad esempio propugnando il ritorno al grembiule o al maestro unico, o ,addirittura,”la lettura della Bibbia”) ma di fatto si caratterizzòsempre con la parola che meglio spiegaval’ennesima “riforma” : “tagli”–tornavasulla questione, sostenendo la sua volontà di dare maggiore lustro alla formazione civica. Per l’occasione, la legge 169/2008 le cambia nome in “Cittadinanza e Costituzione”, ma non la struttura di “materia-non materia” : nessuna collocazione oraria nel curricolo, nessun insegnante dedicato, abilitazione compresa nell’insegnamento di Lettere.

E poco cambia anche con la successiva L. 222/2012 che, riconoscendo nel 17 marzo(in ricordo della proclamazione dell’Italia unita del 1861)la «Giornata dell’Unità nazionale, della Costituzione, dell’inno e della bandiera», all’art. 1 sancisce,nell’ambito di Cittadinanza e Costituzione,la necessità di organizzare percorsi volti a sensibilizzare gli studenti sugli eventi e i simboli dell’unità nazionale, anche in una prospettiva europea.

Si arriva così alla presente e tormentatalegislatura, quando (ancora ministro del governo Conte 1, il burocrate di area leghista Busseti), in pieno agosto e con gli italiani in vacanza, con la legge 92/2019, “Cittadinanza e Costituzione” torna a essere “educazione civica”, con grandi brindisi alla “novità”e i votiparlamentari di tutti, perché non c’è nulla come un rito unanimistico, possibilmente a costo zero, per cementare maggioranza e opposizione su un’immagine stereotipatadei propri ricordi scolastici, e pazienza se la realtà, quella di un sostanziale disinteresse per la scuola pubblica, in realtà prevede altro.

Dopo di chè, dimessosi il nuovo ministro del gioverno Conte 2, Fioramonti, proprio per l’incosistenza delle risorse economiche destinate alla scuola e all’università, , nel mezzo dell’emergenzapandemica , la sostituta di questidel governo Conte 2 , Lucia Azzolina, fa uscire il Decreto 35/2020, «Linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica, ai sensi dell’articolo 3 della legge 20 agosto 2019, n. 92», inviate alle scuole senza tenere in conto(come è prassi di questa ministra) di nessuna delle richieste sostanziali di modifica proposte in merito dal Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione.

I contenuti della “rinnovata” educazione civica sono stati autorevolmente e ironicamente definiti”life, world and everything” : una lunghissima lista di educazioni e competenze la cui realizzazione compiuta sarebbe impossibile in due vite intere, figuriamoci in due cicli scolasticicon 33 ore annuali. Demandate nei contenuti specifici, in via “sperimentale” per tre anni, alle singole istituzioni scolastiche e ai loro Collegi Docenti.

Inostri legislatori e il ministero hanno superato loro stessi in “abilità” : una nuova disciplina, con tanto di voto numerico,magari determinante per l’esito dell’annoscolastico, a costo zero (nessun docente dedicato), ma con la retorica strumentale della “trasversalità” della disciplina per giustificare il suo obbligo di insegnamento da parte di ciascun consiglio di classe, cioè ogni docente in proporzione al proprio orario.

Infatti la modalità organizzativa è coerente con questo “capolavoro” di ipocrisia. Poiché, si trattava di inserire un totale di 33 ore annuali, di una materia per la quale vi sono insegnanti che avrebbero una specifica abilitazione in tal senso (per esempio: i docenti di diritto, e quelli di lettere, la cui abilitazione in Storia recita “Storia ed educazione civica”), l’osservatore di buon senso potrebbe pensare che una buona idea poteva essere di mettere un’ora in più alla settimana nel monte ore annuale dei diversi gradi, ordini e indirizzi, e poi di servirsi, per insegnare qualcosa che vuole una competenza specifica, di insegnanti già abilitati per quello.

Invece no. Visto che comunque non deve costare un euro alle casse dello Stato, il metodo sceltoè quello di utilizzare la legge e il regolamento sull’autonomia scolastica (in questo modo si perpetua l’illusione che ogni scuola potrà daresfogo alla propria “creatività didattica”). In pratica tutti gli insegnanti dovranno impiegare (in realtà tagliare alla loro programmazione di materia) qua e là qualche ora dal loro monte ore, in modo da andare a comporre la fatidica quota di 33 annuale richiesta senza aumentare le ore settimanali e poter permettere così ad un docente del consiglio di classe insignito dei “galloni” di coordinatore “esperto” di espletare il suo compito nella “nuova”materia (gratuita a spese delle altre discipline).

Tanto, se qualcosa si fa a costo zero, senza tenere in considerazione abilitazioni disciplinari e competenza,si può sognare in grande: l’Università della vita consente di prendere pronte abilitazioni quasi in tutto, basta un breve corso, magari ‘trasversale’, magari in modalitàblended(9 ore in presenza e poi una relazione da caricare in piattaforma, totale 25 ore –così funziona la formazione nella “buona scuola” voluta dal governo Renzi): perché servirsi di insegnanti in quella materia abilitati? Quello che serve a completare una operazione di pura facciata è solo avere a disposizione ‘una casella’: se prevedoun voto autonomo, da esibire nella pagella finale alle famiglie, che cosa importa se non deriva da un’ora in più a settimana, insegnata e pagata da un docente specifico? È il (solito) gioco delle tre carte: raddoppio la torta tagliandola a metà.

Nel prossimo articolo sul tema cercherò comunque di illustrare quali possibilità educative può perseguire tale disciplina, nonostante tutte le “tare” da cui è colpita. Perché la scuola vera sa trasformare “i bruchi in farfalle”….

Gender gap e materie scientifiche

Articolo di Carla Franceschini.

Nel 2015 le Nazioni Unite hanno approvato l’”agenda 2030”. Hanno così dichiarato gli obiettivi da raggiungere entro il 2030 con lo scopo di ottenere un futuro migliore per tutti riducendo povertà, fame, diseguaglianze affrontando i cambiamenti climatici e migliorando le condizioni lavorative.

Se ci focalizziamo, in particolare, sui punti 4 (Istruzione di qualità) e 5 (parità di genere) possiamo fare alcune considerazioni che possono aprire un dibattito importante e fondamentale per il rilancio anche del nostro Paese.

Ai nostri giorni, le parole che più ricorrono sono DIGITALIZZAZIONE e INNOVAZIONE che sono la base dell’INDUSTRIA 4.0. Si tratta, all’interno dell’automazione industriale, di integrare tecnologie produttive per migliorare condizioni di lavoro e aumentare la produttività degli impianti. Non bisogna però lasciarsi ingannare dai termini “industria / impianti” in quanto è tutta la società che sta cambiando e che deve cambiare. La terribile esperienza legata al COVID che abbiamo vissuto ma che ancora oggi stiamo vivendo ha messo in risalto il concetto evidenziando le lacune esistenti.

Oggi le professioni che richiedono competenze digitali sono circa il 50% ma nei prossimi anni arriveranno all’80% e sono tutte basate su competenze STEM (Scienza Tecnologia, ingegneria e matematica) anche se oggi non conosciamo ancora quali saranno le professioni richieste nei prossimi anni.

Il problema è che circa il 70% dei posti legati alle discipline STEM riguarderanno l’informatica ma solo l’8% dei laureati soddisferanno le richieste del mondo del lavoro.

Un altro problema da non sottovalutare è il cosiddetto GENDER GAP. Le professioni STEM normalmente sono appannaggio del genere maschile, 70-80%, percentuale che si riscontra già a partire dalle facoltà universitarie.

Tuttavia,spesso nell’opinione pubblica emerge, rispetto a queste facoltà, un luogo comune decisamente radicato, che questi tipi di corsi siano più adatti ai ragazzi che non alle ragazze. Le studentesse italiane stanno invece dimostrando come questo concetto sia assolutamente sbagliato e c’è anche un’altra notizia confortante: l’Italia è, tra le nazioni Europee, la migliore se si guarda al rapporto degli iscritti alle facoltà STEM tra uomini e donne.

Le statistiche dicono che in Italia circa il 37% degli iscritti alle facoltà STEM sono donne contro una media europea del 32% e sono anche più brave se si analizzano sia i voti di laurea sia i tempi di completamento degli studi.

Da questi dati emerge il fatto che è fondamentale sensibilizzare i giovani alla scelta delle facoltà STEM le cui competenze nel prossimo futuro saranno, in ottica di occupabilità, sempre più ricercate dal mondo del lavoro ma soprattutto sarà necessario riuscire a superare e far superare gli stereotipi di genere per far sì che le ragazze prendano sempre più in considerazione queste facoltà e inoltre il mondo del lavoro deve diventare meno discriminante nei loro confronti. Perché se è vero che le ragazze hanno competenze e risultano migliori dei loro colleghi uomini è pur vero che a parità di inserimento dopo qualche anno la loro retribuzione è inferiore ai colleghi uomini.

Le migliori performance accademiche delle donne sembrano non essere premiate né al livello occupazionale né salariale: gli uomini guadagnano circa il 25% in più delle donne.

Ma se a livello scuola questa differenza non viene percepita dagli studenti, perché in ambienti di lavoro si verifica il paradosso: sei più brava ma ti pago di meno?

Christine Lagarde ha detto “Le donne costituiscono il 40% della forza lavoro globale ma rimangono un potenziale inespresso” e non credo solo per una questione economica…

Mi pare importante concludere con una frase di Roald Hoffman (Nobel per la chimica nel 1981) che dovrebbe inorgoglire ogni donna e far riflettere ogni uomo: “Amo troppo la scienza per privarla dell’intelligenza delle donne.”

Scuola che assume come propria finalizzazione lo sviluppo della persona nella sua interezza, come comunità che dialoga e collabora con le imprese quando pensa alla formazione del cittadino anche in quanto lavoratore con un’organizzazione partecipata e non verticistica, proprio perché la complessità può essere gestita mettendo insieme più punti di vista.Per far questo, quale è il paradigma da cambiare alla Einstein? Bisogna passare dal capitale umano a quello dello sviluppo umano che tiene presente la crescita della persona nella sua interezza, non solo come lavoratore/lavoratrice. Il paradigma dello sviluppo umano, dovuto ai lavori di Sen, è centrato sull’espansione delle libertà personali e vede l’istruzione come fattore di emancipazione individuale e di promozione della democrazia. O meglio bisognerebbe arrivare a un’idea di scuola che riesce a portare a sintesi questi due paradigmi, dove però lo sviluppo umano deve essere preminente e costituire la cornice entro la quale assimilare criticamente gli elementi del paradigma del capitale umano che vanno costruiti insieme al mondo del lavoro. Il principio formativo della scuola deve essere concepito in relazione all’uomo concreto, definito dai suoi rapporti sociali. Si tratta di portare a sintesi la formazione del produttore e quella del cittadino, nella consapevolezza che ciò risponde a un’esigenza non solo ideale ma anche oggettiva, che rende oggi necessaria lo sviluppo di intelligenze più astratte, flessibili ed ecologiche.Ai fini della partecipazione democratica, la complessità dei problemi sociali esige un’intelligenza sistemica, capace di cogliere le questioni nella loro totalità. Per coltivare una simile forma d’intelligenza la scuola va liberata da compiti direttamente professionalizzanti, rafforzando la formazione culturale generale, la coltivazione dell’abito della ricerca e la capacità di pensiero critico. La scuola, insomma, deve formare persone capaci di pensare con la propria testa e che abbiano il coraggio di usarla, sia nel lavoro che nella politica. Una scuola quindi che riesca a formare “lavoratori, critici” che diventino una risorsa non solo esecutiva, ma anche proattiva.Risulta fondamentale inserire tutto ciò in una visione sistemica: è un compito complesso e lungo che però può individuare le sue priorità all’interno della situazione emergenziale in cui ci troviamo. Cioè investire, da subito, sulla valorizzazione della professionalità docente, sui ragazzi e le ragazze, sulle STEAM e sulla didattica laboratoriale, sulla didattica digitale, sull’architettura scolastica e sul rapporto con le imprese.

Una nazione a rischio: la scuola motore dello sviluppo di una società giusta, equa, solidale ed economicamente sviluppata.

Articolo di Lorella Carimali.

La scuola italiana è l’istituzione che più sta pagando la crisi innescata dalla pandemia Covid-19, coinvolgendo quasi 10 milioni di persone tra studenti, insegnanti, dirigenti e operatori.
L’Italia è l’unico paese avanzato al mondo che ha disposto una chiusura prolungata, che ha messo a nudo tutte le carenze strutturali del nostro sistema, in particolare quelle che riguardano l’edilizia scolastica –che dovrà rapidamente adattarsi alle opportune misure di sicurezza anti-Coronavirus -e la didattica digitale, che non ha potuto essere sfruttata al meglio sia per mancanza di devices adeguati, sia perché non era nella pratica didattica di una parte degli insegnanti.

Chi ha salvato la situazione in questi mesi? La scuola stessa e, soprattutto, gli insegnanti.

I dati dimostrano che sul piano delle competenze tecnico-scientifiche e digitali della popolazione, l’Italia appare in grave ritardo rispetto agli altri Paesi europei, confermandosi tra i fanalini di coda: secondo l’indice Desi 2020 elaborato dalla Commissione Europea, il Belpaese si colloca in una posizione migliore solo di Romania, Grecia e Bulgaria. Ma soprattutto in Italia non esistono un pensiero matematico diffuso e una visione di sistema come strategie per risolvere i problemi.

Una situazione così drammatica rischia di aggravare le disuguaglianze sociali del Paese: non si tratta semplicemente di lasciare indietro i più fragili, ma soprattutto di ridurre le possibilità che tanti giovani abbiano accesso a un’istruzione in grado di valorizzarne le potenzialità, coltivarne i talenti, accompagnarli nella ricerca di sé stessi e verso il mondo del lavoro per una cittadinanza pienamente attiva. Meno giovani hanno accesso a un’istruzione di qualità, più povero sarà il Paese. Si considera pertanto necessario affrontare la questione su due piani differenti: quello emergenziale, con l’obiettivo di arrivare a una riapertura di tutte le scuole di ogni ordine e grado, e quello di prospettiva, con l’intento di gettare le basi per un rilancio della scuola italiana che deve diventare la priorità assoluta dell’agenda politica nei prossimi mesi e anni.

Nell’ambito di tale rilancio la scuola può giocare un ruolo proattivo nel rapporto con le imprese, assumendo una chiave di indirizzo e sviluppo e stravolgendo vecchi paradigmi, un po’ come fece Einstein quando aprì la strada a un nuovo mondo andando oltre gli steccati della meccanica classica, rivoluzionando il concetto di spazio e di tempo con l’obiettivo di formare liberi pensatori.

La scuola, infatti, è un fattore chiave per lo sviluppo economico del Paese e lo sarà ancora di più in una fase di ricostruzione come quella del post-Coronavirus.

Non un costo, ma un investimento. Non una voce di nicchia sull’agenda politica, che fa rumore soltanto quando non funziona, ma una questione che vede operare insieme Governo, Parlamento, parti sociali e opinione pubblica. Una scuola ovunque e comunque, chiave di volta della rinascita dell’Italia.

Ma da dove partire? Rendendo concreta e operativa una frase che in questi mesi è stata detta più volte: “Nessuno si salva da solo”.

Che significa questo? Vuol dire che è necessario ripensare le alleanze e costruire quei patti educativi di comunità che non devono solo essere relegati all’emergenza della riapertura fisica delle scuole.

Scuola che assume come propria finalizzazione lo sviluppo della persona nella sua interezza, come comunità che dialoga e collabora con le imprese quando pensa alla formazione del cittadino anche in quanto lavoratore con un’organizzazione partecipata e non verticistica, proprio perché la complessità può essere gestita mettendo insieme più punti di vista.

Per far questo, quale è il paradigma da cambiare alla Einstein? Bisogna passare dal capitale umano a quello dello sviluppo umano che tiene presente la crescita della persona nella sua interezza, non solo come lavoratore/lavoratrice. Il paradigma dello sviluppo umano, dovuto ai lavori di Sen, è centrato sull’espansione delle libertà personali e vede l’istruzione come fattore di emancipazione individuale e di promozione della democrazia. O meglio bisognerebbe arrivare a un’idea di scuola che riesce a portare a sintesi questi due paradigmi, dove però lo sviluppo umano deve essere preminente e costituire la cornice entro la quale assimilare criticamente gli elementi del paradigma del capitale umano che vanno costruiti insieme al mondo del lavoro. Il principio formativo della scuola deve essere concepito in relazione all’uomo concreto, definito dai suoi rapporti sociali. Si tratta di portare a sintesi la formazione del produttore e quella del cittadino, nella consapevolezza che ciò risponde a un’esigenza non solo ideale ma anche oggettiva, che rende oggi necessaria lo sviluppo di intelligenze più astratte, flessibili ed ecologiche.

Ai fini della partecipazione democratica, la complessità dei problemi sociali esige un’intelligenza sistemica, capace di cogliere le questioni nella loro totalità. Per coltivare una simile forma d’intelligenza la scuola va liberata da compiti direttamente professionalizzanti, rafforzando la formazione culturale generale, la coltivazione dell’abito della ricerca e la capacità di pensiero critico. La scuola, insomma, deve formare persone capaci di pensare con la propria testa e che abbiano il coraggio di usarla, sia nel lavoro che nella politica. Una scuola quindi che riesca a formare “lavoratori, critici” che diventino una risorsa non solo esecutiva, ma anche proattiva.

Risulta fondamentale inserire tutto ciò in una visione sistemica: è un compito complesso e lungo che però può individuare le sue priorità all’interno della situazione emergenziale in cui ci troviamo. Cioè investire, da subito, sulla valorizzazione della professionalità docente, sui ragazzi e le ragazze, sulle STEAM e sulla didattica laboratoriale, sulla didattica digitale, sull’architettura scolastica e sul rapporto con le imprese.

Scuola che assume come propria finalizzazione lo sviluppo della persona nella sua interezza, come comunità che dialoga e collabora con le imprese quando pensa alla formazione del cittadino anche in quanto lavoratore con un’organizzazione partecipata e non verticistica, proprio perché la complessità può essere gestita mettendo insieme più punti di vista.Per far questo, quale è il paradigma da cambiare alla Einstein? Bisogna passare dal capitale umano a quello dello sviluppo umano che tiene presente la crescita della persona nella sua interezza, non solo come lavoratore/lavoratrice. Il paradigma dello sviluppo umano, dovuto ai lavori di Sen, è centrato sull’espansione delle libertà personali e vede l’istruzione come fattore di emancipazione individuale e di promozione della democrazia. O meglio bisognerebbe arrivare a un’idea di scuola che riesce a portare a sintesi questi due paradigmi, dove però lo sviluppo umano deve essere preminente e costituire la cornice entro la quale assimilare criticamente gli elementi del paradigma del capitale umano che vanno costruiti insieme al mondo del lavoro. Il principio formativo della scuola deve essere concepito in relazione all’uomo concreto, definito dai suoi rapporti sociali. Si tratta di portare a sintesi la formazione del produttore e quella del cittadino, nella consapevolezza che ciò risponde a un’esigenza non solo ideale ma anche oggettiva, che rende oggi necessaria lo sviluppo di intelligenze più astratte, flessibili ed ecologiche.Ai fini della partecipazione democratica, la complessità dei problemi sociali esige un’intelligenza sistemica, capace di cogliere le questioni nella loro totalità. Per coltivare una simile forma d’intelligenza la scuola va liberata da compiti direttamente professionalizzanti, rafforzando la formazione culturale generale, la coltivazione dell’abito della ricerca e la capacità di pensiero critico. La scuola, insomma, deve formare persone capaci di pensare con la propria testa e che abbiano il coraggio di usarla, sia nel lavoro che nella politica. Una scuola quindi che riesca a formare “lavoratori, critici” che diventino una risorsa non solo esecutiva, ma anche proattiva.Risulta fondamentale inserire tutto ciò in una visione sistemica: è un compito complesso e lungo che però può individuare le sue priorità all’interno della situazione emergenziale in cui ci troviamo. Cioè investire, da subito, sulla valorizzazione della professionalità docente, sui ragazzi e le ragazze, sulle STEAM e sulla didattica laboratoriale, sulla didattica digitale, sull’architettura scolastica e sul rapporto con le imprese.

Ripartire dalla Scuola per un futuro migliore

Articolo di Lorella Carimali.

Potrei dire ripartiamo dalle “S”: società, sviluppo, solidarietà, sostenibilità, scienza, sogno, speranza, sanità e scuola.

Investire sulla scuola per rilanciare il nostro Paese, perché lì ci sono tutte le “S” e ci sono quelle giovani e quei giovani che sono il nostro presente, ma soprattutto il nostro futuro e la nostra speranza per un mondo migliore. Noi però li stiamo dimenticando e ignorando: la scuola deve passare dal capitolo spesa a quello dello sviluppo economico, e i numeri della dispersione scolastica e dei Neet sono terribili. Uso il termine “terribile” consapevolmente, perché la matematica ci insegna che dietro ai numeri c’è molto altro e in questo caso ci sono ragazzi e ragazze, giovani donne e uomini a cui viene negata la speranza di poter progettare il proprio futuro, di sognare e di cambiare il proprio modo di vedere sé stessi e il mondo.

Oggi, le diseguaglianze sociali non sono più solo questione di reddito, ma consistono anche nel non poter usufruire delle stesse opportunità per realizzare i propri progetti di vita e per veder fiorire talenti e aspirazioni. Don Milani sottolineava che i diritti costituzionali, come l’uguaglianza, non dovessero significare solo la possibilità di diventare dottori in medicina o ingegneri ma soprattutto la possibilità di essere “sovrani di noi stessi”. Una società equa e solidale deve fornire a tutti le risorse culturali e di pensiero necessarie per una piena cittadinanza e per trovare la propria radice quadrata della vita.

Io ho avuto questa possibilità e per questo devo ringraziare la scuola e la matematica. Una scuola che deve sempre più essere presidio di speranza e fiducia oltre che di legalità e che deve includere tutti, per far nascere sogni.

Riflessioni in libertà intorno a una nuova strada da seguire

Articolo di Lorella Carimali.

Avevo pensato di scrivere un articolo sulla scuola, ma poi c’è stato l’annuncio del risultato delle elezioni negli Stati Uniti con i bellissimi discorsi del nuovo Presidente e della sua Vice e ho deciso di iniziare condividendo con voi alcune mie riflessioni pubblicate sul mio profilo Facebook dal titolo “Harris e Biden! Le elezioni negli Stati Uniti ci indicano la strada…riusciremo a capirla?”

Bisogna investire sull’unione, sui diritti civili, sui giovani e sulle giovani, su persone che abbiano storia fattiva e competenze solide,ma soprattutto che sappiano coordinare e fare sintesi: si vince solo insieme! L’uomo solo al comando, anche se è ancora forte (70 milioni di voti fanno riflettere), non trionfa! Si vince insieme anche con la prima vicepresidente donna della storia americana e con le differenze che diventano risorsa fondamentale per il rilancio. Sì, perché a portare Biden alla Casa Bianca è stata la scommessa su Kamala Harris, padre giamaicano e madre indiana, prima donna eletta vicepresidente. Harris ha portato milioni di elettrici afroamericane al voto, senza dimenticare un ceto medio proletarizzato bianco che questa volta ha scelto di iscriversi nelle liste elettorali, attratto dalla carica prorompente di una donna pronta a dare battaglia sui diritti civili.

“Cura”risuona più volte nelle parole di Biden,insieme a dignità, equità, scienza e speranza!

Ma non ci si ferma qui: Harris declina questi concetti e li rende concreti. “La democrazia non è una cosa garantita per sempre” ha esordito, citando il leader della lotta per i diritti civili John Lewis; “col vostro voto avete mandato un messaggio chiaro, avete scelto la speranza, l’unità, la decenza, la scienza e la verità“.

Il passaggio più applaudito è quando ha ricordato di essere arrivata alla vicepresidenza “sulle spalle” di tutte le donne che hanno combattuto per il diritto di voto: “sebbene io sia la prima donna a ricoprire questo incarico, non sarò l’ultima. Penso a intere generazioni di donne che hanno lottato per questo preciso momento. Penso alle donne che hanno combattuto e sacrificato così tanto per l’uguaglianza, la libertà e la giustizia per tutti, comprese le donne afroamericane, spesso trascurate ma che spesso dimostrano di essere la spina dorsale della nostra democrazia”.

Rivolta ai giovani: “Abbiamo un messaggio chiaro per voi: sognate con ambizione, guidate con convinzione e guardate a voi stessi in modi che forse gli altri non vedranno, ma semplicemente perché non lo hanno mai visto prima. E noi vi applaudiremo ad ogni passo“.

Coronavirus, Azzolina: “Istituito Comitato di esperti.” Tra gli esperti scelti, anche Lorella Carimali.

FONTE: MIUR.GOV.IT

La Ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, ha istituito, presso il Ministero, un Comitato di esperti che avrà il compito di formulare e presentare idee e proposte per la scuola con riferimento all’emergenza sanitaria in atto, ma anche guardando al miglioramento del sistema di Istruzione nazionale.

“Abbiamo voluto questo tavolo di lavoro – spiega la Ministra Azzolina – per mettere a punto il nostro Piano per il mondo dell’Istruzione. Risponderemo rapidamente a tutti i dubbi e le istanze che ci stanno arrivando, in particolare dalle famiglie. Come Paese abbiamo fatto sforzi importanti in queste settimane per rispondere all’emergenza sanitaria, grandi sacrifici che non possono essere vanificati. Ma, al contempo, dobbiamo cominciare a guardare oltre. E vogliamo farlo da subito”. Prosegue la Ministra: “Lo faremo insieme al gruppo che abbiamo costituito oggi, dove ci sono profili che vengono dal mondo della scuola, del digitale, della ricerca, della sanità, dagli atenei e che saranno di supporto. Chiederemo loro di formulare proposte che poi vaglieremo con attenzione. Lavoreremo anche guardando al dopo, al futuro della scuola che è, necessariamente, il futuro dell’Italia. Abbiamo l’occasione, ora che tutti parlano di scuola e avvertono ancora di più la sua importanza, di intervenire per migliorare ulteriormente il sistema di Istruzione”.

Il Comitato potrà formulare proposte su:

  • l’avvio del prossimo anno scolastico, tenendo conto della situazione di emergenza epidemiologica attualmente esistente;
  • l’edilizia scolastica, con riferimento anche a nuove soluzioni in tema di logistica;
  • l’innovazione digitale, anche con lo scopo di rafforzare contenuti e modalità di utilizzo delle nuove metodologie di didattica a distanza;
  • la formazione iniziale e il reclutamento del personale docente della scuola secondaria di primo e secondo grado, con riferimento alla previsione di nuovi modelli di formazione e selezione;
  • il consolidamento e lo sviluppo della rete dei servizi di educazione e di istruzione a favore dei bambini dalla nascita sino a sei anni;
  • il rilancio della qualità del servizio scolastico nell’attuale contingenza emergenziale.

Le proposte presentate saranno poi vagliate dai vertici del Ministero.

Il Comitato è composto da 18 esperti:

  • Prof. Bianchi Patrizio, coordinatore, professore ordinario di Economia e Politica industriale presso l’Università di Ferrara;
  • Dott.ssa Carimali Lorella, docente presso il Liceo Scientifico statale “Vittorio Veneto” di Milano;
  • Prof. Ceppi Giulio, ricercatore e docente incaricato presso il Politecnico di Milano;
  • Dott. Di Fatta Domenico, dirigente scolastico presso l’Istituto di istruzione superiore “Regina Margherita” di Palermo;
  • Dott.ssa Ferrario Amanda, dirigente scolastico dell’Istituto di istruzione superiore “Tosi” di Busto Arsizio (Varese);
  • Dott.ssa Fortunato Maristella, dirigente dell’Ambito Territoriale di Chieti e Pescara, Ufficio Scolastico Regionale per l’Abruzzo;
  • Prof.ssa Lucangeli Daniela, professore ordinario di Psicologia dell’Educazione e dello Sviluppo presso l’Università di Padova;
  • Prof. Melloni Alberto, professore ordinario di Storia del Cristianesimo presso l’Università di Modena-Reggio Emilia;
  • Dott.ssa Pozzi Cristina, Ceo & Co-founder Impactscool;
  • Dott. Quacivi Andrea, Amministratore delegato di Sogei;
  • Dott.ssa Riccardo Flavia, ricercatore presso l’Istituto Superiore di Sanità;
  • Prof. Ricciardi Mario, già professore associato di Diritto del Lavoro e delle Relazioni industriali presso l’Università di Bologna;
  • Prof.ssa Riva Mariagrazia, professore ordinario di Pedagogia Generale e Sociale, presso l’Università di Milano-Bicocca;
  • Prof. Salatin Arduino, presidente Istituto internazionale salesiano di ricerca educativa – ISRE;
  • Prof. Sandulli Aldo, professore ordinario di Diritto Amministrativo presso la LUISS Guido Carli;
  • Dott.ssa Spinosi Mariella, dirigente tecnico del Ministero dell’Istruzione in quiescenza;
  • Dott. Versari Stefano, direttore generale dell’Ufficio Scolastico Regionale per l’Emilia Romagna;
  • Prof. Villani Alberto, Presidente della Società Italiana di Pediatria.

Il Comitato coinvolgerà, con apposite audizioni, professionalità interne all’Amministrazione, Enti di ricerca, Università, Associazioni di categoria, il Forum Nazionale delle Associazioni Studentesche e il Forum nazionale delle Associazioni dei genitori della scuola (Fonags), nonché i rappresentanti delle Consulte studentesche.
Il Comitato potrà anche avviare interlocuzioni e specifiche audizioni con la Conferenza delle Regioni, con l’Associazione Nazionale Comuni Italiani, con l’Unione delle Province d’Italia. Gli esperti opereranno a titolo gratuito. Il gruppo di lavoro resterà in carica fino al prossimo 31 luglio.

Lorella Carimali, l’insegnante che sa fare amare la matematica: «Io la insegno così e funziona»

FONTE: CORRIERE.IT
ARTICOLO DI Orsola Riva

Una mattina al Liceo Scientifico milanese Vittorio Veneto, nelle classi della Prof: “In cattedra? I ragazzi. Il mio è il ruolo dell’allenatore che porta tutti al traguardo.

Milano, liceo scientifico Vittorio Veneto, classe quinta I, quarta ora del giovedì: matematica. Sì, proprio lei, la materia meno amata dagli studenti (e soprattutto dalle studentesse) italiani. Quella che quattro ragazzi su dieci, arrivati alla fine del percorso di studi, ancora non capiscono, visto che nei test Invalsi non raggiungono la sufficienza. Seduta in prima fila c’è una ragazza bruna che ascolta, concentrata, la lezione del prof di matematica su funzioni e derivate prime e seconde. A un certo punto lo interrompe e gli dice: «Aspetta, spiega meglio questo punto: è importante per la Maturità. Voi lo avete capito?». E si gira verso il resto della classe. Che succede? Succede che la ragazza si chiama Lorella Carimali, ha 57 anni, e due anni fa è stata finalista del Global Teacher Prize, il premio da un milione di dollari per il miglior prof del mondo. Mentre il prof in cattedra, Lorenzo Gentile, di anni ne ha 18, e non è un prof ma uno studente molto talentuoso e per nulla presuntuoso: «Sono figlio di due ingegneri che mi hanno molto supportato nello studio della matematica», si schermisce. In realtà Lorenzo si è portato avanti con il programma di quinta da solo, su Youtube, e adesso è lì alla lavagna che fa lezione. E i compagni che dicono? «Per me la matematica è molto difficile», dice Lueda Vogli, «ma almeno Lorenzo usa un linguaggio più vicino al nostro. E posso fargli tutte le domande che voglio».

La prof che capovolge le regole

Non lasciatevi ingannare, però: il ruolo della prof Carimali, anche se defilato, è fondamentale. È lei che interviene in continuazione a chiarire i concetti e soprattutto ad assicurarsi che tutti abbiano capito. «Qui arrivano ragazzi con background molto differenti. Non puoi entrare in classe e spiegare e basta», dice lei, «il mio ruolo semmai è quello dell’allenatore che deve prepararli per la maratona. Non importa se arrivano primi o ultimi, l’importante è portarli tutti al traguardo». Un obiettivo in linea con l’indirizzo di fondo di una scuola «che vuole coltivare le eccellenze ma anche essere inclusiva», spiega la preside Patrizia Cocchi. E che ci riesce molto bene visto che il 76% dei ragazzi si piazza nelle due fasce più alte dell’Invalsi. Senza test d’ingresso né selezione in base al voto di uscita dalle medie, come invece accade in altri scientifici milanesi.

Non è un affare da maschi

Non lasciare nessuno indietro in matematica è un obiettivo tutt’altro che facile da raggiungere. Intanto bisogna sgombrare il campo dai pregiudizi, come quello che la matematica sia un affare per pochi, preferibilmente maschi. «La matematica è per tutti e tutte», dice Carimali, «ma spesso i ragazzi e soprattutto le ragazze arrivano al liceo trascinandosi dietro complessi che risalgono alle elementari. Non è vero che per andar bene devi avere il “pallino della matematica”, basta allenarsi. A pensare si impara pensando». Carimali cita le teorie di Carol Dweck, la psicologa americana che con i suoi studi ha dimostrato quanto sia importante valorizzare gli errori come parte del processo di apprendimento. «Viviamo in una società ossessionata dalla performance», continua, «ma prendere 4 o 5 in un compito non vuol dire che non sei portato per la matematica. Magari ti ci può volere più tempo, ma un bravo prof deve trasmetterti il messaggio che ce la puoi fare».

Valutare i propri compagni

Suona la campanella, Carimali saluta gli studenti di quinta e entra in quarta I. Oggi restituisce l’ultima verifica di matematica, ma l’atmosfera stranamente è tutt’altro che tesa. I ragazzi pescano i compiti da un mucchietto e poi si dividono in gruppetti, iniziando a confabulare fra loro. Ognuno deve valutare il compito di un compagno. «Io me li sono già guardati a casa ma non ho ancora messo il voto, sennò guarderebbero solo quello.», spiega la prof, «Certo, a volte dei miei colleghi passano e dicono: ma che casino che c’è in classe della Carimali. Ma se c’è casino è perché nessuno dorme e tutti stanno lavorando». Effettivamente lo spettacolo, per quanto insolito, almeno non trasmette una sensazione di noia o di inerzia. Tutti vanno e vengono da un banco all’altro e a volte si accalorano discutendo fra loro.

L’alunna in felpa entusiasta

Sorriso contagioso, felpa con la scritta Nasa, una passione per l’astrofisica – due anni fa con l’aiuto della prof Carimali e di quella di italiano ha messo in piedi uno spettacolo sulla teoria della relatività che raccontava la storia di due gemelli separati alla nascita: uno sulla Terra l’altro nello spazio – Elisa Carlini sta correggendo il compito di un compagno. «La cosa bella di questo metodo», spiega, «è che per capire dove uno sbaglia non basta controllare i calcoli, devi riuscire a risalire al ragionamento che c’è dietro». In questo modo tutti imparano qualcosa: chi ha sbagliato capisce dove ha sbagliato e perché, mentre gli altri diventano più consapevoli dei procedimenti che hanno usato. «I risultati dell’Invalsi ci costringono a interrogarci sul nostro metodo di insegnamento», dice Carimali, «Quei 4 ragazzi su dieci che non raggiungono i livelli minimi di competenza in matematica sono destinati da adulti a diventare degli analfabeti funzionali. Se oggi non sono in grado di risolvere problemi di media difficoltà, come potranno domani decifrare un conto bancario o una polizza assicurativa?». Per questo invece di insistere sulle formule facendogli ripetere gli stessi esercizi cento volte finché non sbagliano più, bisogna metterli di fronte a sfide sempre diverse in modo che diventino capaci di affrontare qualsiasi situazione. «Il primo passo», dice ancora la prof, «è creare un clima sereno in classe, senza l’ossessione del voto. Solo così il tempo e l’errore possono trasformarsi da nemici a risorse».

Da insegnante a regista

E se questo vuol dire che la prof deve fare un passo di lato, accontentandosi della regia delle lezioni, ben venga il passo di lato: «Non ho l’ambizione di fare delle lezioni stratosferiche. L’importante per me non è quello che insegno io, ma quello che imparano loro. Se riesco a insegnare ai ragazzi a credere in sé e ad avere un metodo, allora ho fatto il mio». O come dice ancora meglio Pamir Martini, lo scienziato pazzo dello spettacolo sulla relatività: «Un bravo prof non deve trasmetterti delle nozioni ma insegnarti a imparare». Chiaro?

La matematica: fondamento di una società equa e moderna

FONTE: TEDxTalks Livorno

Lorella Carimali, insegnante di matematica e fisica selezionata tra i 50 migliori docenti al mondo per il Global Teacher Prize 2018 spiega la sua visione della matematica parafrasando la famosa frase del premio Nobel Malala Yousafzai: “un bambino, una bambina, un’insegnante, un libro, una penna e … la matematica possono cambiare il mondo”.

La matematica intesa non come insieme di regole, ma come libertà, leggerezza, metodo di vita che guida oltre gli stereotipi e i pregiudizi migliorandoci la vita. Una forma di pensiero che esalta il valore culturale della matematica nella società moderna e che la Professoressa sintetizza efficacemente in tre assiomi:
1. La matematica è per tutti e per tutte;
2. Non uno, non una di meno nella matematica e nella vita;
3. Errore non come limite, ma come opportunità.

Docente da oltre trent’anni, nominata dalla Varkey Foundation ambasciatrice del suo modello didattico nel mondo, Lorella Carimali risulta tra le 20 finaliste nell’iniziativa di Repubblica “la donna D2018” ed è autrice del romanzo “La radice quadrata della vita”. Winner of the Global Teacher Prize 2018 This talk was given at a TEDx event using the TED conference format but independently organized by a local community. Learn more at
https://www.ted.com/tedx

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